Adriano ha una storia da raccontare
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Dicono che sono scomparso.
“Adriano ha rinunciato ai milioni”.
“Adriano è drogato”.
“Adriano è scomparso tra le favelas”.
Sapete quante volte ho visto questi titoli? Stronzate.
Invece eccomi qua. Sorridente di fronte a voi.
Volete sapere la verità? Direttamente da me? Senza cazzate? Allora prendete una sedia, fratelli. Perché Adriano ha una storia per voi.
“Le favelas.”
Anche la parola, spesso viene fraintesa dalla gente. Chi non ci vive non può capire.
Quando parlano del Brasile, quando parlano dei bambini nelle baracche?
Le tingono sempre di nero. È sempre dolore e miseria.
E sì, alle volte è così. Ma è complicato. Quando ripenso a come sono cresciuto nella favela, a dire il vero penso a quanto ci siamo divertiti. Penso agli aquiloni, alle trottole e a quando giocavamo a pallone nel vicolo. Un’infanzia vera, non questo ta ta ta del cazzo sugli schermi che fanno i bambini di adesso.
Io ero circondato dalla mia famiglia, dalla mia gente. Sono cresciuto in una comunità.
Non ho sofferto. Ho vissuto.
Ho fatto tanti soldi nella mia carriera. Ma sapete quanto pagherei per divertirmi ancora così? Capite, no?!
Avevo sempre il pallone tra i piedi. Ce lo ha messo Dio. Quando avevo 7 anni, alcuni dei miei parenti hanno raccolto dei soldi per permettermi di giocare nella scuola calcio del Flamengo, la escolinha. Cazzo! Dalla favela al Flamengo??? Andiamo subito! Mi metto le scarpe! Dov’è la fermata dell’autobus?
Era un po’ una follia perché vivevamo a Penha e se conoscete Rio sapete che il tragitto da Penha alla scuola calcio del Flamengo a Gavea era infinito. Erano gli anni 90’ e ancora non c’era la Linea Gialla. Si dovevano prendere due autobus e siccome ero ancora troppo piccolo, avevo bisogno di qualcuno che venisse con me.
Ed è qui che entra in gioco mia nonna.
Mia nonna! Cazzo! Mi dovrei fare il segno della croce ogni volta che parlo di lei. Se non ci fosse stata lei nella mia vita?! Sarebbe stato impossibile. Non avreste mai conosciuto il nome Adriano.
Non potete capire cos’è quella donna. Che personaggio! Una leggenda! Vi racconto velocemente una storia ….
Avevo sempre il pallone tra i piedi. Ce lo ha messo Dio.
- Adriano
Una volta, quando ero all’Inter, i giornalisti mi seguivano ovunque perché ogni volta volevano assillarmi con qualcosa. Erano accampati sotto casa mia e non volevano andarsene. Mi sentivo in trappola. Mia nonna all’epoca viveva con me, e sentii che stava in cucina mentre faceva bollire l’acqua sui fornelli.
Allora le ho chiesto: “Che succede nonna? Che stai cucinando?”
Lei mi ha risposto: “No, no. Non sto cucinando amore”.
Però aveva un pentolone di quelli che si usano per fare la pasta.
Ha detto: “Sto preparando un regalino per i nostri amici qua fuori”.
Allora le ho detto: “Che? Nonna, che sei pazza. Non puoi fare così!!!”
E lei: “No, no. Voglio solo fare un bel bagnetto ai nostri amici giornalisti!
È bello caldo, vedrai che gli piace!”
Ahahahahah! Cazzo! Era seria! L’ho dovuta calmare.
Diceva tipo: “La devono smettere di rompere al mio bambino! Gli voglio dare una lezione!”
Questa è mia nonna OK? Capite meglio adesso?!
Quando ero piccolo mi accompagnava in autobus agli allenamenti ogni santo giorno e siccome non avevamo tanti soldi, faceva sempre dei popcorn, così avevamo qualcosa da mangiare. Oppure tagliava una fetta di pane e ci metteva sopra lo zucchero. Cose semplici. Quelle che potevamo permetterci. Tante volte però le cose semplici sono le più buone no?! Cazzo, specialmente quando hai fame. Quei popcorn erano insuperabili!
Comunque, ogni volta che arrivavamo agli allenamenti nonna che faceva? Sì sedeva al bar per prendere un tè? Macché, stava lì e mi guardava giocare per ore.
La cosa più divertente è che non riusciva nemmeno a pronunciare il mio nome.
Fin da quando ero piccolissimo, mi ha sempre chiamato “ADI-RANO!”
Quindi mentre ci allenavamo lei strillava agli altri bambini: “Ehi! Passa la palla a Adirano!! Che fai bello? Passala a Adirano!”
Le ho dovuto dire: “Nonna, calmati! Non puoi mica fare così!”
Poi quando tornavamo a casa in autobus, iniziava l’analisi.
Diceva: “Adirano, perché correvi così? Perché non sei andato dall’altra parte? Non capisco perché lì non hai tirato, amore”.
Ahahahahahhahha! Oddio! Mi metteva davvero pressione! Era Mourinho prima di Mourinho! Senza pietà!
Questa è stata la nostra routine per 8 anni. Tutti i giorni. Insieme. Non lo dimenticherò mai. Mai, mai e poi mai. Non so quante ore ho passato sull’autobus con mia nonna. La nostra vita era così. Credete che potessi trovare il tempo per studiare? Non è un caso se ho ripetuto tre volte la quinta elementare!
Mia nonna ha sacrificato la sua vita perché io potessi diventare un calciatore. E poi, un giorno all’improvviso, il sogno stava quasi per finire!
Ecco, è finita!
Credete che potessi trovare il tempo per studiare? Non è un caso se ho ripetuto tre volte la quinta elementare!
- Adriano
Quando avevo 15 anni il Flamengo mi stava per mandare via. Davvero. Giuro su Dio. Il problema è che all’epoca facevo il terzino sinistro e stavo crescendo troppo in fretta. Troppi popcorn! Ci pensate? Adriano? Un cazzo di terzino sinistro? Alla fine dell’anno gli allenatori mettevano tutti i ragazzi in linea e poi li dividevano in due file.
Ti indicavano e dicevano: “Tu, vai lì”.
Fila sinistra, si andava a casa.
Fila destra, si rimaneva.
Indicano me: “Adriano, vai là”
La fila sinistra. Addio.
Poi, per grazia di Dio, mentre camminavo uno degli allenatori ha detto: “Ehi no, no, no. Adriano no. Lui per il momento rimane”.
Incredibile no?! Quando Dio mette le mani sulle nostre vite, non si può mai spiegare.
A quel punto sapevo che era una questione di sopravvivenza. Quando mi hanno spostato davanti sapevo che era la mia ultima possibilità. E allora che ho fatto?
Beh, ho combattuto. Ho lottato contro tutti quelli che mi sono trovato davanti.
Questa è un’altra cosa che chi non la vive non può capire. Quando sei un attaccante, non è mai solo una sfida. Ogni volta che ti arriva la palla, hai due difensori centrali giganti che vogliono ucciderti, quale sfida.
È una battaglia. Di quelle da strada.
E allora che potevo fare? Ho abbattuto tutti i giganti bastardi che mi sono trovato di fronte.
PUM! Ahahahahah! ;-)
Adriano sarà l’ultimo figlio di puttana a rimanere in piedi. Ci potete scommettere.
Grazie a Dio sono rimasto al Flamengo da attaccante e poi, un paio d’anni dopo, quando avevo 17 anni, ho iniziato ad allenarmi con la prima squadra. A quel punto giocavo contro gli adulti. Gente che giocava per mantenere la propria famiglia. Completamente un altro livello. Quindi dovevo dimostrare che con me non c’era da scherzare. C’è un momento che non dimenticherò mai - giocavamo 11 contro 11 e la palla andava avanti e indietro. Non succedeva niente. All’improvviso mi arriva la palla in area, spiovente dal cielo. Ho subito due difensori addosso ma li spingo via. OOOF!!!
Mi giro e vedo una cazzo di porta meravigliosa spalancata di fronte a me.
Avevo il pallone sul sinistro. E voi, amici miei, sapete bene cosa faccio quando ho la palla sul sinistro.
Non riesco a spiegarlo. È come se Dio dall’alto mi avesse toccato lo scarpino con un dito. Ho chiuso gli occhi e ho colpito la palla più forte che potessi.
TUM!!!!
La palla colpisce il palo.
THOOOOOOONK!!!!
Inizia a volare in aria come un uccello.
SHHEEEEWWW!!!
Volava. Addio!!
Credetemi, vi giuro su Dio, la palla è rimbalzata fino alla linea di centrocampo. Non sto scherzando. Fino a centrocampo. E ho subito visto le facce che hanno fatto tutti.
Giocatori, allenatori, tutti.
Si guardavano tipo : “Oh cazzo! Questo è davvero forte!”
E mi ricordo che ho pensato Grazie Signore. Grazie per questo dono.
Adriano sarà l’ultimo figlio di puttana a rimanere in piedi. Ci potete scommettere.
- Adriano
Pochi mesi dopo, sono stato convocato in Nazionale. Questo è per dire come tutto sia successo molto velocemente. All’epoca vivevo ancora con i miei genitori nella favela.
Quando hanno annunciato la lista dei convocati alla TV, io mi stavo riposando.
Mia madre è entrata in camera gridando: “Adriano! Adriano! Figlio mio! Sei stato convocato! O mio Dio!”
Io russavo. Zzzzzzzzzzzzz.
Mi dice: “Sei stato convocato! O mio Dio! O mio Dio!
E io: “Eh? Che? Stai scherzando?”
Mi sono alzato dal letto e ho visto il mio nome sulla TV.
Dai, siamo seri. Avevo 18 anni. Vivevo in una favela. Come potete non dire che sono stato benedetto da Dio? La mia storia non ha un senso logico, neanche per me.
Solamente un anno dopo, sono andato all’Inter e la gente mi chiamava
“L’Imperatore”.
Come la spieghi una cosa del genere? È per forza Dio, ve lo dico io.
Mi ricordo che appena arrivato in Italia, non avevo bene idea di cosa stava succedendo. Guardavo i miei compagni e pensavo: “Seedorf. Ronaldo. Zanetti. Toldo. Cavolo”. Era ovvio che fossi in soggezione, no?! Seedorf camminava per lo spogliatoio senza maglietta - quello stronzo aveva il 7% di grasso corporeo! Rispetto!
Non dimenticherò mai quando stavamo giocando un’amichevole contro il Real Madrid al Bernabeu, e sono entrato dalla panchina. Guadagniamo una punizione dal limite dell’area e io mi avvicino al pallone. Ma sì, perché no?! Beh, indovinate chi c’era dietro di me a dirmi: “No, no, no. La batto io.”
Materazzi! Quel gran bastardo! Ahahahahhahaha!
Potevo a malapena capire che mi stava dicendo, perché ancora non parlavo italiano.
Ma ho capito che gli rodeva.
“No, no, no!”
La voleva battere lui. Poi è intervenuto Seedorf e ha detto: “No, lascia tirare il ragazzino”.
Nessuno discute con Seedorf. Quindi Materazzi si è fatto da parte e la cosa divertente è che se guardate il video, potete vedere Materazzi con le mani sui fianchi che pensa: Questo ragazzino del cazzo sicuro la manda in curva!!!
La gente mi chiede tutto il tempo di quel calcio di punizione.
Come? Come, come, come? Come hai fatto a calciare il pallone così forte?
E io gli rispondo: “Cazzo! Sai che non lo so! L’ho colpita di sinistro e Dio ha fatto il resto!”
BOOOM!
All’incrocio.
Non lo so spiegare. So solo che è successo.
Quello è stato l’inizio della mia storia d’amore con l’Inter. L’Inter è la mia squadra ancora oggi. Amo il Flamengo, il San Paolo, il Corinthians… amo molti posti in cui ho giocato, ma l’Inter per me è qualcosa di speciale.
La stampa italiana? Beh, quella è un’altra storia. Ahahahahah.
Ma la società Inter? La migliore.
C’è un coro che mi cantavano a San Siro che ancora mi fa venire la pelle d’oca.
Che confusione
Sarà perché tifiamo
Un giocatore
Che tira bombe a mano
Siam Tutti in piedi
per questo brasiliano
batti le mani
che in campo c'è Adriano
Cavolo, dai. Un ragazzo della favela come me? Sono l’Imperatore d’Italia? Non avevo fatto quasi niente e tutti mi trattavano come un re. Era fantastico. Mi ricordo quando tutta la mia famiglia veniva a trovarmi da Rio e quando dico tutta la famiglia mi sa che non capite bene cosa voglio dire. Intendo la mia famiglia. Alla brasiliana. Non stiamo parlando di mamma e papà, stiamo parlando di 44 persone! Cugini, Zie, Zii! I miei amici!
Su quell’aeroplano c’era tutto il vicinato.
La voce era arrivata anche al Presidente. Il Signor Moratti (la leggenda!). E il Signor Moratti ha detto: “Ehi, questo è un momento speciale per il ragazzo, prendiamo un pullman per la sua famiglia”. Moratti ha fatto noleggiare un intero pullman dai suoi collaboratori. Vi immaginate 44 brasiliani in gita in Italia?! Ahahahah! Uno spettacolo. È stata una festa.
Questo è il motivo per cui non parlerò mai male di Moratti o dell’Inter. Tutte le società dovrebbero essere così. Lui si preoccupava per me come persona.
Adesso so cosa state pensando.
“Ma Adriano, perché hai lasciato il calcio? Perché te ne sei andato?”
Mi fanno queste domande ogni volta che vado in Italia.
Certe volte penso di essere, uno dei calciatori più incompresi del mondo. La gente non riesce davvero a capire quello che mi è successo. Loro hanno la loro versione che è completamente sbagliata. In realtà è molto semplice.
Nel giro di nove giorni, sono passato dal giorno più felice della mia vita al giorno più brutto.
Sono passato dal paradiso all’inferno. Sul serio.
25 luglio 2004. La finale di Coppa America contro l’Argentina. Tutti i brasiliani si ricordano di quella partita. Erano gli ultimi minuti e stavamo perdendo contro quei bastardi. Avevano iniziato a prenderci in giro e a provocarci cercando di farci perdere la testa per perdere ancora più tempo. Luis Fabiano voleva fare a cazzotti con tutti! Ahahahahha! “Lasciamola stare la partita! Ammazziamo questi bastardi!”
Il resto è una poesia. Un film. Una canzone. Non lo so cos’è, ma non può essere vero.
La palla spiove in area. Confusione. Corpi. Gomiti. Non vedevo un cazzo. Se guardate il video, vedete che in realtà avevo allargato il gomito per colpire qualcuno. Ma poi, all’improvviso, avevo la palla sul piede. Un regalo dal cielo.
Ho pensato, Oh! Vieni qui bellissima figlia di puttana!
Vi mentirei se dicessi che sapevo dove volevo metterla.
L’ho solo colpita di sinistro, più forte che potevo.
BOOOM!
Un bacio agli argentini dal ciccione!!!
Ha gonfiato la rete e non riesco a descrivere la sensazione che ho provato. Incredibile.
Era solamente il gol del pareggio, ma sapevamo che li avremmo distrutti. Sapevamo cosa sarebbe successo ai rigori. Ed è successo.
Juanzão — poom!!!!
Eravamo noi i campioni.
E l’Argentina no.
Battere l’Argentina così per il mio paese, con tutta la mia famiglia che guardava….quello probabilmente è stato il giorno più bello della mia vita.
Pensateci. Il ragazzo che veniva da quelle cazzo di favelas. Come faccio a non pensare che siano state le mani di Dio a lasciare il segno sulla mia vita?
E questa è una lezione per tutti. Perché non importa chi sei - puoi essere in cima al mondo, puoi essere L’Imperatore - ma la tua vita può cambiare….
*Schiocca le dita*
Così.
Nel giro di nove giorni, sono passato dal giorno più felice della mia vita al giorno più brutto.
- Adriano
4 agosto 2004. Nove giorni dopo. Ero tornato in Europa con l’Inter. Mi chiamano da casa. Mi dicono che mio padre è morto. Un infarto.
Non mi va di parlarne, ma vi dico che da quel giorno, il mio amore per il calcio non è stato più lo stesso. Amavo il calcio, perché lo amava lui. Tutto qui. Era il mio destino. Quando giocavo a calcio, giocavo per la mia famiglia.
Quando facevo gol, facevo gol per la mia famiglia. Quindi da quando mio padre è morto, il calcio non è stato più lo stesso.
Ero in Italia, dall’altra parte dell’Oceano, lontano dalla mia famiglia e non ce l’ho fatta. Sono caduto in depressione. Ho iniziato a bere tanto. Non avevo voglia di allenarmi. L’Inter non c’entra niente. Io volevo solo andare a casa.
Se devo essere onesto, anche se ho segnato tanti gol in Serie A in quegli anni, anche se i tifosi mi amavano davvero, la mia gioia era svanita. Era mio padre, capite? Non bastava spingere un bottone per tornare me stesso.
Non tutti gli infortuni sono fisici, capite?
Quando mi sono rotto il tendine d’Achille nel 2011? Sapevo che per me fisicamente era finita. Puoi operarti, fare riabilitazione e provare ad andare avanti, ma non sarai mai più lo stesso. Avevo perso esplosività. Avevo perso equilibrio. Cazzo, ancora cammino zoppicando. Ho ancora un buco nella caviglia.
Quando mio padre è morto è stata la stessa cosa. Solo che la cicatrice era dentro di me.
“Che è successo ad Adriano?”
È semplice.
Ho un buco nella caviglia e uno nell’anima.
Nel 2008, era l’epoca di Mourinho all’Inter, la situazione era diventata insostenibile.
I giornalisti mi seguivano ovunque e con Mourinho era tutto un: “Che cazzo! Vaffanculo! Vuoi fottermi, vero?”.
Ho detto, Oh Signore. Portami via da qui.
Non ho resistito.
Mi hanno convocato in nazionale e prima di partire Mourinho mi dice: “Non torni più, vero?!”
Gli ho detto: “Già lo sai!”
Biglietto solo andata.
La stampa alle volte non riesce a capire che siamo degli esseri umani. Essere L’Imperatore significava avere troppe pressioni. Io venivo dal nulla. Ero solo un ragazzo che voleva giocare a calcio e poi uscire per bere qualcosa con i suoi amici. So che è un qualcosa che non si sente spesso dai calciatori di oggi, perché è tutto così serio e ci sono troppi soldi di mezzo. Ma voglio essere onesto. Io non ho mai smesso di essere il ragazzo della favela.
La stampa diceva che ero “scomparso”. Dicevano che ero tornato nelle favelas, che mi stavo drogando e tante altre storie incredibili di tutti i tipi. Pubblicavano foto mie dicendo che ero circondato da criminali e che la mia storia era una tragedia. Mi viene da ridere, perché quando fanno così, non sanno assolutamente di cosa stanno parlando. Non capiscono che stanno facendo una figura di merda.
Ero solo un ragazzo che voleva giocare a calcio e poi uscire per bere qualcosa con i suoi amici.
- Adriano
Sono tornato dalla mia gente, dai miei amici, dalla mia comunità. Non volevo vivere in un castello sulla collina lontano da tutti. Sono tornato dalla gente che mi conosceva sin da quando ero ADI-RANO, che mangiava i popcorn sull’autobus.
Ovviamente tutto ha un prezzo. Ero fuori forma, fisicamente e mentalmente. Sapevo di aver bisogno d’aiuto. Quindi sono finito al San Paolo perché lì potevo ricevere aiuto dal REFFIS. All’epoca, il SPFC aveva alcuni dei migliori dottori del mondo. Ho iniziato a vedere uno psicologo che mi ha aiutato a combattere la depressione e sono stato in grado di ripartire.
E per questo devo ringraziare ancora una volta il Signor Moratti, perché è sempre stato d’accordo in tutto. Mi ha lasciato il mio spazio perché sapeva cosa stavo passando. Ho fatto avanti e indietro dall’Italia al Brasile per un po’. Ma alla fine, non potevo mentire a lui.
Moratti un giorno mi ha chiamato e mi ha chiesto: “Come ti senti?”
E lui ha capito la situazione. Completamente. Mi ha lasciato andare serenamente. E gli sarò sempre grato per questo.
“Adriano rinuncia ai milioni per andare a casa”
Sì, forse ho rinunciato ai milioni. Ma l’anima ha davvero un prezzo? Quanto sareste disposti a pagare per tornare alla vostra essenza?
All’epoca ero distrutto per la morte di mio padre. Volevo sentirmi ancora me stesso. Non mi drogavo. Bevevo? Certo che sì, Ammazza se bevevo. Alla salute. Se analizzate la mia pipì - e lo giuro su Dio - non troverete nessuna traccia di droghe. Perché so che il giorno in cui farò uso di droghe mia madre e mia nonna moriranno. Però sapete una cosa? Sicuramente troverete tracce di alcolici. Credo che la mia pipì sia torbida come la Caipirinha!
Quando sono tornato a casa per giocare con il Flamengo, non volevo più essere l’Imperatore. Volevo essere Adriano. Volevo divertirmi ancora. E diciamo che ci siamo divertiti. Vi dirò la verità sul Flamengo. Certe volte non andavamo agli allenamenti per giocare a calcio, ma semplicemente perché dopo si beveva. Non appena finiva l’allenamento - poom! - era subito festa. Dritti al Mercado Produtor. Le nostre mogli conoscevano l’accordo! “A mezzanotte a casa!” Ahahahah. ;-)
Il giorno dopo in allenamento se qualcuno era veramente sofferente, c’era sempre qualcun altro che diceva: “Non ti preoccupare fratello. Lo vedo che sei fottuto. Corro io per te! Ti copro io!!!”
Eravamo sempre insieme.
E abbiamo vinto. Il primo campionato del Flamengo in 17 anni?! Dai, è stato davvero speciale.
Non sono mai riuscito ad essere lo stesso dopo la morte di mio padre, ma in quella stagione mi sono davvero sentito a casa. Ho provato un’altra volta gioia. Mi sono sentito un’altra volta Adriano.
Adriano era il ragazzo della favela.
Adriano era il ragazzo che andava in autobus con sua nonna.
Adriano era il ragazzo che il Flamengo stava per mandare via.
Adriano era il ragazzo che ha lottato.
Adriano era l’ultimo figlio di puttana a rimanere in piedi.
Non ho mai smesso di essere quella persona. I soldi, la fama, i riconoscimenti...non cambiano dove sei nato, capite?
Non ho vinto una Coppa del Mondo, no.
Non ho vinto una Libertadores, no (Washington, quello stronzo!!!)
Ma sapete cosa? Ho praticamente vinto tutto il resto. E ho avuto una vita meravigliosa.
Sono stato davvero orgoglioso di essere L’Imperatore. Ma senza Adriano, L’Imperatore è inutile.
Adriano non ha la corona. Adriano è il bambino delle baracche che è stato benedetto da Dio.
Lo capite adesso?
Lo vedete?
Adriano non è scomparso tra le favelas. È solo tornato a casa.
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