Cosa Significa il Milan Per Me
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C’è stato un momento in campo a Sassuolo, il giorno in cui abbiamo vinto lo scudetto, la scorsa stagione.
Anche se giocavamo in trasferta, lo stadio era pieno di tifosi del Milan al 90%. Ho sentito che i nostri tifosi hanno mandato in tilt il sito del Sassuolo per cercare di acquistare i biglietti. Dopo 11 anni senza titolo, alcuni tifosi hanno pagato migliaia di euro per essere presenti. Era un mare di rosso e nero. Non ho mai visto nulla di simile.
Dopo il fischio finale, tutti i tifosi sono corsi in campo per festeggiare con noi. Ricorderò sempre il ragazzo che mi ha afferrato per le spalle e ha iniziato a scuotermi. Stava gridando in inglese: “Fik! FIK!!! Grazie! Grazie mille!!! Questo significa TUTTO per noi.… capisci?!”
E io ho pensato, okkei... si fa così a Milano.
Tutta la scena e i festeggiamenti che sono seguiti, la sfilata del trofeo in Piazza del Duomo... è stata come... avete presente il fermo immagine in un film smielato con il suono del disco graffiato? Uno dei quei momenti “ma come sono arrivato qui?”
A dire la verità, ho avuto questo pensiero diverse volte negli ultimi due anni: “ma sta succedendo davvero?”
Prima del Milan, ero frustrato. La mia carriera al Chelsea era iniziata così bene, ma poi all’improvviso non ho più capito che direzione stava prendendo. Nell’estate del 2020, non avevo mai iniziato un precampionato sapendo per quale club avrei giocato il giorno dell’esordio. Questo non è facile.
Non fraintendetemi, ho tantissimi bei ricordi legati al Chelsea: la squadra giovanile da cui sono passato? Vincere due FA Youth Cup e i campionati giovanili UEFA? Quei tempi sono stati la crema. Eravamo insieme da molti anni. Io, Tammy, Mason, Dom Solanke, Andreas Christensen, Trevoh Chalobah, potrei andare avanti... Eravamo solo amici che amavano la vita.
Poi sono cresciuto molto andando in prestito al Brighton, all’Hull e al Derby. Nessuno cercava più di sostenermi o di mettermi un braccio intorno alle spalle. Si trattava della Championship, non della lega giovanile. Ci sono conseguenze reali in gioco: promozioni, retrocessioni, posti di lavoro. Per non parlare dell’aspetto fisico. Una volta, al Derby, ricordo di essere stato colpito dal corpulento attaccante del Bristol City Famara Diédhiou: mi fece così male che non sentivo più la gamba e dovetti lasciare il campo. Il medico del nostro club mi disse che non aveva mai visto nulla di simile. Aggiunse: “Questo tipo di infortunio lo vedo solo nel rugby!”
E questa è la Championship.
Quando finalmente sono entrato nella prima squadra del Chelsea nel 2019-20, è stato surreale. Non solo per avercela fatta, ma anche per averlo fatto con i miei compagni. Ci sono state tante volte in cui Tammy, Mason e io ci siamo detti: “Ragazzi, siamo arrivati. Giochiamo per il Chelsea”. All’epoca, mi assicuravo sempre di registrare il programma di calcio, Match of the Day, solo per vedermi in TV.
La partita che riassume meglio tutto questo è stata quella in cui abbiamo battuto la squadra dei Wolves per 5-2 in trasferta in quella stagione. Io ho fatto un gol da urlo. Colpii la palla al volo, di esterno, e volò in rete. Pewww. Willy Caballero mi prendeva sempre in giro per come tiravo in allenamento, quindi mi sono vendicato haha!
Nell’intervallo, Tammy mi disse: “Sono così stanco. Ho corso senza fermarmi mai”.
E io gli ho detto, “Amico, che vuoi dire che sei stanco?? Non puoi essere stanco! Hai segnato due volte. Potresti segnare una tripletta nella Premier League. Continua così!!!”
Nel secondo tempo, ha segnato il terzo gol e poi Mason ne ha fatto un altro. I ragazzi delle giovanili segnano tutti insieme per vincere una partita per il Chelsea. Nello spogliatoio, Tammy e io eravamo seduti accanto e ci siamo guardati negli occhi. È stato un momento così... Ci credi che sta succedendo???
Non riuscivo a smettere di sorridere.
Ma dopo il COVID, tutto è cambiato.
Improvvisamente, non giocavo più così tanto. La mia carriera stava andando in una direzione e poi si era fermata.
Sono una persona che non cerca di esaltarsi o abbattersi troppo, ma non voglio mentire, il mio sorriso era sparito.
Poi ho ricevuto la telefonata che ha cambiato tutto.
Quando l’ho detto a mio padre, la sua prima domanda fu: “Perché Paolo Maldini parla con te?”
Hahaha! Grazie, papà.
Gli spiegai che Maldini è il direttore sportivo del Milan e che mi aveva chiamato per sondare la possibilità di trasferirmi lì, in prestito. A dire il vero, per tutta la chiamata su Zoom non riuscivo a crederci nemmeno io. Ero seduto e lo guardavo, ascoltando, ma senza capire bene. Stavo solo pensando:
Quello è Paolo Maldini.
Sto parlando con Paolo Maldini.
Se non succede niente, posso comunque dire di aver parlato con Paolo Maldini.
Mio padre adorava il Milan. Papà è nigeriano ed è cresciuto seguendo il miglior calcio europeo. Ai suoi tempi, il Milan era la squadra che sembrava dovesse vincere la Champions League ogni anno. Quando ha capito che la chiamata era vera, si è infervorato e ha iniziato a darmi una piccola lezione di storia sul Milan. Io ero seduto lì, pensando: “Sì, grazie papà, ne so un po’ di calcio anch’io”.
Ma aveva ragione. È un club così famoso. L’unica cosa che riuscivo a pensare era: “Non so se sono pronto”.
Quando crescevo a Londra, sembrava che gli unici giocatori inglesi che giocavano all’estero fossero David Beckham e Owen Hargreaves. Non era una vera opzione. E non si trattava di un club qualsiasi, ma del Milan.
Ma poi ho parlato con alcuni ragazzi del Chelsea che erano stati in Italia: Toni Rüdiger, Mateo Kovačić ed Emerson. Toni era alla Roma e continuava a dirmi che i giocatori erano supportati molto bene. Poi si avvicinò e mi disse : “Allora, vai a Milano? Ascolta... se ne hai la possibilità, vai”.
“I tifosi… è diverso in Italia. È una cosa folle. Io ero un idolo lì, capisci? Dai tutto te stesso e ti adoreranno”.
Poi c’era Thiago Silva. Non sapeva l’inglese, ma quando sentì di cosa stavamo parlando, disse: “Milan?”, dando un enorme pollice in su! Hahaha!
E allora ho pensato, “O.K., mettetemi sull’aereo!”
Quando finalmente sono andato a firmare, nel gennaio del 2021, mi hanno fatto fare un giro del museo. Ci sono così tanti trofei che non riesci nemmeno a ricordarli tutti. Coppe dei campioni e Palloni d’oro, ovunque. Guardo le foto alle pareti e mi dico: “Sì, questo è il posto giusto”. Ci sono Shevchenko, Kaka, Nesta, Ibra, Pirlo, Ronaldinho... E questi sono solo alcuni che mi ricordo perché li ho visti da bambino, data la mia età.
Il momento più toccante è stato quando mi hanno consegnato una borsa con dentro la mia tuta. Quando l’ha tirato fuori, ho fissato lo stemma del Milan. Credo che papà si sia reso conto che stavo avendo problemi ad assimilare tutto quanto. Mi guardò e mi disse: “Tu giochi per il Milan”.
Ancora dopo quasi due anni, ogni volta che vedo la mia tuta provo ancora una sensazione speciale. Mi dico ancora: “Gioco per il Milan”.
Molti giocatori britannici mi hanno chiesto cosa significhi giocare in Italia. La cosa che ti colpisce davvero è la cultura. Non mi riferisco al cibo e alle bevande, anche se devo dire che mi sono convertito. Non avevo mai bevuto caffè prima, ora sono un vero aficionado del macchiato quotidiano!
È una vera follia. Ma è una follia positiva.
- Fikayo Tomori
È la cultura dei tifosi che è unica. Toni, Kova e gli altri hanno cercato di parlarmene prima che arrivassi, ma è molto di più di quello che mi hanno detto. È impossibile da descrivere se non lo si è provato.
È così diverso dall’Inghilterra, dove in strada ti chiedono un paio di selfie. In Italia, anche se indossi un berretto, un cappuccio o una maschera... vieni riconosciuto. Anche se mi copro il viso, vengo comunque riconosciuto. Qualcuno cattura il mio sguardo e vedo che ci sta pensando, come mi sembra di conoscere quegli occhi, e poi si scatena l’inferno!
È una vera follia. Ma è una follia positiva. Dopo aver atteso a lungo il titolo e aver visto i rivali dominare, ci si potrebbe aspettare un po’ di negatività da parte dei tifosi, ma devo dire che non ho mai provato nulla di simile... solo amore. Così tante persone che si rifiutano di farti pagare il caffè o che ti mostrano i loro tatuaggi del Milan. Ho visto così tanti tatuaggi di Giroud che festeggia il suo gol nel derby... hahaha!
Il modo in cui ci trattano, il modo in cui ci guardano. Voglio dire, siamo solo calciatori, giusto? Ma per loro è come se fossimo dei re. E per questo era così importante per me imparare la lingua in fretta per poter far parte di tutto questo. Volevo essere completamente dentro. In un club come questo non si possono fare le cose a metà.
L’amore datoci durante la corsa allo scudetto fu immenso. Non ce l’avremmo mai fatta senza l’aiuto dei tifosi.
Ci sono stati tanti momenti speciali durante il cammino verso lo scudetto, soprattutto verso la fine della stagione.
A ogni partita sempre più amici sono venuti da casa, per partecipare all’eccitazione della corsa al titolo. Di solito li sistemo nel settore delle famiglie dei giocatori a San Siro, ma una volta li ho messi insieme ai tifosi normali e dopo sono tornati dicendo: “Sì, Fik... ci devi mettere sempre lì. Vogliamo far parte di questa energia. È pazzesco!”
Ricordo il derby di febbraio. Avevo appena subìto un intervento al ginocchio ma, quando Oli ha segnato il secondo gol completando la rimonta, sono saltato in piedi come se avessi appena ricevuto una cura miracolosa! Era una partita in trasferta, ma c’erano ancora i nostri ultras in Curva Sud e quando tutti corsero a festeggiare da loro, potevamo vederli saltare e urlare lassù in alto.
Lo stesso è accaduto ad aprile, quando abbiamo battuto la Lazio 2-1 fuori casa. Tonali segnò al 92° minuto, saltò i cartelloni pubblicitari e lo stadio esplose. Ricordo ancora le facce dei singoli tifosi che stavano perdendo la testa per la pura gioia.
Anche quando sei in partita e concentrato su quello che stai facendo, quando i tifosi impazziscono in quel modo ti colpisce come un’onda d’urto. La cosa che non si capisce di San Siro dalla TV è il frastuono. Lo senti davvero. Ti toglie il fiato e allo stesso tempo ti dà nuova vita.
I tifosi erano solo una parte dell’equazione, l’altra erano i miei compagni di squadra. Li devo applaudire. È un gruppo così speciale. Lo spirito che vedete è reale. Siamo tutti amici fuori dal campo. Andiamo a mangiare insieme, non in piccoli gruppi ma come squadra. C’è un legame e si crea la mentalità che siamo insieme in questo viaggio.
L’altra cosa è che – e di questo il merito è di Gazidis, Maldini, Massara e Pioli – è una squadra in cui tanti giovani hanno avuto la possibilità di assumersi delle responsabilità e le hanno sfruttate per salire di livello.
Ragazzi come Pierre Kalulu e Rafa Leão. Che giocatore è Rafa! Quando è arrivato, credo che nemmeno lui sapesse quanto fosse bravo. Con quanta facilità riusciva a dominare i giocatori nell’uno contro uno. È alto, sa dribblare, sa tirare e sa passare. Ha tutto... e ora credo che lo sappia.
E poi, dall’altra parte, ci sono ragazzi di grande esperienza come Zlatan. So cosa state pensando e, sì, nella vita reale è esattamente così.
Ricordo che quando arrivai a Milano per la prima volta mi chiese dove alloggiavo. Poi mi comunicò che eravamo vicini di casa. Disse: “Sì, abito nell’edificio accanto al tuo. Il mio appartamento è quello all’ultimo piano... così Dio può vegliare sulla sua città”.
Ma è anche il più forte, il più flessibile e quello che si impegna di più nella squadra, anche a 41 anni. È una macchina. Non ci sono altre parole per descriverlo. E parla sempre con quel vocione roboante alla Zlatan, facendoti discorsini e dandoti consigli. Potete guardare qualche video sui social media. Lo vediamo davanti a noi, ogni giorno.
In quelle partite finali, ci ha mantenuto lucidi. Ricordo che andammo negli spogliatoi all’intervallo dell’ultima giornata contro il Sassuolo in vantaggio per 3-0. Non credo di essere mai stato così felice in vita mia. Guardavo i miei compagni di squadra che sorridevano: “Ce l’abbiamo fatta ora”.
Ma che Zlatan lo notò subito, che ci stavamo lasciando andare e disse: “Nessuno deve ancora sorridere!!! Ci sono ancora 45 minuti!!!”
Smettemmo di sorridere.
Quarantacinque minuti dopo eravamo campioni.
Le 24 ore dopo il Sassuolo sono state una follia. Non proverò nemmeno a descrivere la sfilata del trofeo. Se non l’avete ancora fatto, andate a vedere i video... vi aspetto.
Il percorso era di sette - otto chilometri e ci sono volute cinque ore e mezza per muoversi tra la folla che batteva sui lati del pullman. Guardando fuori, non si vedeva nemmeno il terreno, solo persone, bandiere, razzi e nebbia rossa. Ho sentito dire che c’erano 50.000 persone stipate in Piazza del Duomo, tutte a cantare “Pioli’s on fire” hahaha!
Nella mia testa, avevo un piccolo pensiero: “Immagina se vincessimo la Champions League”.
La sera dopo la partita con il Sassuolo, sono tornato a casa mia per stare con i miei genitori. Erano venuti in Italia in aereo, ma non allo stadio: mio padre non guarda mai le mie partite. Mai. È troppo nervoso. Invece va a messa. Ma quel giorno, ha deciso di rischiare un infarto e ha guardato la partita a casa mia. Questo vi fa capire quanto importante fosse per lui.
Quella sera – 16 mesi dopo aver visitato il museo del Milan senza davvero credere a quello che mi stava succedendo – io e mio padre abbiamo festeggiato insieme.
Gioco nel Milan e ho vinto lo scudetto.
È successo davvero. Ed è stato meglio di quanto avessi mai potuto immaginare.
Mi piacerebbe poter ritrovare quel tifoso che mi ha preso per le spalle in campo a Sassuolo. Se potessi, lo prenderei io per le spalle e gli direi nel mio miglior italiano:
Ora capisco.
Ora capisco cosa significa.
E spero che voi capiate cosa significa per me.